I barbari (Angli, Goti, Franchi, Sassoni, Vandali... ),
i quali invasero l'Impero
Occidentale nel V secolo, non avevano monete proprie,
perciò o rilevarono
quelle che trovarono o le ignorarono del tutto.
Così avvenne in Inghilterra per circa 200 anni.
Nella maggior parte degli altri paesi i barbari mantennero le zecche e le monete romane,
così come altre istituzioni imperiali.
I loro sovrani, fregiandosi il diritto di rappresentare il potere imperiale, emisero monete in nome del solo Imperatore che essi conoscevano:
quello di Costantinopoli !
Ma lo fecero riuscendo solo ad imitare rozzamente i tipi delle monete già esistenti.
I fenomeni di imitazione esistevano però secoli prima delle invasioni barbariche e
sonodescritti e analizzati in questo articolo del Circolo Numismatico di Milano:
Imitazioni barbariche di monete romane
In Occidente la monetazione in bronzo e le rare emissioni di argento cessarono a metà del
VI secolo ma per i seguenti cento anni si coniarono monete in oro,
strana circostanza per
una econonomia povera, ma tale oro era usato solo per scopi fiscali, per le donazioni reali
e per i sussidi mentre per gli usuali scambi commerciali non vi era moneta.
Il nominale più importante era il triens, che corrispondeva a un terzo del solidus
tardo-romano.
Le monete si diffondevano e si scambiavano anche da regno a regno.
Ad esempio il territorio svizzero odierno si collocava in posizione periferica
all'interno
del regno merovingio. In base ai ritrovamenti, in Svizzera circolavano
prevalentemente
monete galliche
e in parte anche coniazioni ostrogote,
visigote e longobarde.
Il passaggio dal sistema aureo a quello argenteo, che nel regno franco avvenne nel tardo VII secolo, in un primo momento non ebbe alcuna ripercussione nell'odierno territorio svizzero.
Riguardo alla "siliqua", il nome è da intendersi, come appurato dagli studi di Filippo Carlà nel
2009, solamente come un valore in oro pari ad 1/24 del solido d'oro; tale valore poteva certo
essere rappresentato da una moneta d'argento, ma appare difficile comprendere qualte potesse essere il suo peso non agvendo praticamente nessuna informazione sul rapporto di valore AV/AR nel periodo altomedioevale. L'indicazione di una moneta chiamata "siliqua" o eventuali sue frazioni dev' essere considerata perciò puramente convenzionale e di solito indicata tra virgolette.
Dopo il collasso dell'Impero Romano d'Occidente si può schematizzare a livello generale la storia monetaria europea individuando due principali fasi: in un primo momento si coniò moneta aurea basata per lo più sul peso standard dei temissi d'oro di grammi 1,5 ( un terzo del solido bizantino) poi nella seconda fase in età carolingia fu predominante la moneta argentea che nei secoli a seguire si ritrovò sempre più impoverita, sino al XIII secolo.
Le tribù barbare che si erano rapportate col mondo romano in qualità di alleati militari o mercenari o tributari, avevano già avuto l'occasione di conoscere lo strumento monetario e questa esperienza fornì loro le basi per utilizzarlo con vantaggio quando si insediarono nel territorio imperiale. Un'eccezione fu rappresentata dall'Inghiltera e dalla Gallia settentrionale per cui si constata una stasi di almeno un secolo dopo la caduta dell'Impero.
Si delineano abbastanza agevolmente le fasi monetarie per i regni barbarici:
- la fase pseudo imperiale ovvero imitazioni della moneta romana preesistente
- la fase nazionale con emissioni con tipi e legende prettamente autonomi che vollero affemrare l'indipendenza rispetto ai prototipi
Ciascuno Regno promosse questo passaggio in forma autonoma secondo criteri non sempre ben individuabili
Accanto a queste monete barbariche sopravvisse sempre la moneta dell'Impero d'Oriente, in particolare il solido d'oro.
I primi ad attuare l'emancipazione dalla moneta imperiale furono probabilmente i Vandali insediati nella parte settentrionale del continente africano e lo stesso avvenne in Italia anche se solo per un breve periodo grazie al Re degli Eruli e generale dell'Impero romano Odoacre (476 - 493). Egli governò l'Italia a nome degli imperatori d'Oriente ed emise molte sue monete col nome dell'imperatore bizantino reggente così come fecero in seguito i successori barbari regnanti sulla penisola in nome dell'Imperatore d'Oriente. Tale pratica fu interrotta dalla guerra gotica promossa da Giustiniano (535 - 553).
Nella collezione cividalese è esposto un trmeisse aureo rinvenuto ad Invillino UD durante gli scavi negli anni Sessanta del Novecento e donato al Museo da uno degli scopritori, Joachim Werner.
Al dritto il busto corazzato e diademato dell'imperatore è accompagnato dalla scritta DNSENO PERAVG mentre al rovescio una croce greca è circondata da una corona d'alloro e nell'esergo si leggono le lettere COMOB. Lo stile del disegno è lontano dagli esemplari bizantini e risulta ancora più evidente se paragnata ad un esemplare originale di Zenone rinvenuto nel cividalese nel 1822.
Monete di Eruli e Goti
Odoacre, Re degli Eruli, passato alla storia come destitutore dell'ultimo imperatore
Romano d'Occidente, Romolo Augustolo, fu il primo a battere moneta nella officina
monetaria di Roma e nella nuova di Ravenna, tra il 476 e il 489.*
Odoacre riprese la coniazione di monete d'argento e forse emise una moneta di bronzo enea
da 40 nummi (circa tra il 477 e il 478); l'attribuzione è discussa perchè la moneta è anonima e
secondo alcuni studiosi potrebbe essere stata emessa dal goto Teodorico durante il suo governo
su Roma (circa 490 o 491). Del resto i Goti avrebbero fatto seguire a questa coniazione altre monete bronzee anonime che ebbero corso per tutto il loro periodo di dominazione sull'Italia,
quindi sino al 553 circa.
Accanto a queste monete, Odoacre produsse nella zecca di Ravenna emissioni argentee e bronzee recanti una legenda o un monogramma col suo nome (FLavius ODOVACar) e vi impresse anche un suo ritratto provvisto di baffi. Al pari di quanto successe per le emissioni enee, l'impronta data da questo reggente influenzò le successive coniazioni.
Anche in questo caso si ritiene che queste emissioni rappresentino un prototipo per le successive
monete barbariche; il primo ad adottare questa questa innovazione pare sia stato il re dei
Vandali Gunthamund (484 - 496) nella zecca di Cartagine.
il suo regno finì nel 493 quando Teodorico re degli Ostrogoti, inviato dall'imperatore
d'Oriente Zenone, lo sconfisse e fondò il suo regno in Italia. Durante la guerra entrambi i contendenti emisero monete in oro e in argento in nome di Zenone, ma l'esatta attribuzione
è molto complessa. Il riconoscimento come re d'Italia a Teodorico però avvenne solo nel 497
sotto il nuovo Imperatore Anastasio, il quale lo "autorizzò" a coniare monete in suo nome.
Non si trattava quindi, come nei casi di altre popolazione barbariche, di imitazioni ma di
piuttosto di esatte riproduzioni e di buona lega.
In seguito batterono moneta tutti re Goti nella loro frammentaria dominazione
dell'Italia,
sempre a Roma e a Ravenna, sporadicamente a Pavia (541 - 553): monete di scarsissima
qualità e oggi di estrema rarità.
Il ruolo politico ricoperto dagli Ostrogoti, inviati e sostenuti dall'Imperatore d'Oriente Zenone
a riconquistare in suo nome la parte occidentale dell'Impero, si mostrò anche sulle monete:
i nominali aurei portavano la titolatura imperiale mentre su alcune emissioni d'argento
comparve al rovescio anche il nome del re Goto. Il primo a battere moneta fu Teodorico
(493 - 526 legittimato dall'Impero dal 497) e coniò in tre metalli nelle zecche di Ravenna,
Roma e Milano: i suoi aurei portavano il nome dell'imperatore Anastasio e del successore
Giustino I; ad un periodo compreso tra il 493 e il 553 appartengono anche monete d'argento, frazioni della cosidetta "siliqua" emesse a nome dell'Imperatore e una serie di monete di
bronzo da 40, 20, 10, 5 e 2 nummi con il segno di valore. L'esistenza di queste emissioni
chiarisce la volontà del regnante di offrire moneta destinata anche ai livelli più bassi della circolazione. I Re Goti seguenti, Atalarico, Teodato e Vitige, proseguirono la monetazione di Teodorico e immisero in circolazione esemplari similari, con uno stile di ispirazione romano-bizantina chiaramente conservativo mantendo in attività le tre zecche di prima oltre a Ticinum
e Sirmium nei Balcani, sino alla riconquista dell'Italia da parte di Giustiniano nel 553.
Il Metlich nel 2004 ha proposto di non riconoscere le monete di Sirmium come gote ma di assegnarle al regno dei Gepidi.
I Goti in oro solitamente i tremissi (terza parte del solido) in oro, le silique o mezze silique in argento e monete in bronzo.
Il loro periodo dura tra il 493 e il 555, quando avvenne la "Riconquista" di Giustiniano.
Solido emesso da Atalarico (524-534) o da Teodato (534-536) per Giustiniano I
Monete dei merovingi
Invece nell'attuale Francia comparvero le monete del sovrano merovingio Teodeberto
di Austrasia (534-548), il primo re che ruppe il monopolio imperiale sull'oro.
Erano artisticamente meno coraggiose: la legenda "DN Theodebertus Victor"
proclamava l'indipendenza dei Franchi ma il ritratto frontale era ancora
quello di un imperatore Bizantino.*
Austrasia. Solido d'oro, Teodoberto (534 - 548)
Questa è la prima moneta emessa al nome di un sovrano franco; quantunque il nome
sia
quello di Teodoberto, il viso è ancora quello di un impoeratore bizantino.
L'abbreviazione DN significa "Domine Nostrum" e la troviamo presente nelle monete
di
molti popoli barbari.
Approfondimento sulle monete dei Merovingi
Monete dei Frisoni
I Frisoni erano un antico popolo dei Germani stanziati verso la zona costiera del Mare del
Nord, nell'area degli odierni Paesi Bassi. Attorno al 600 costituirono un loro regno noto anche
come Magna Frisia. Spesso in lotta con i vicini Franchi, nel 734 Carlo Martello li sconfigge alla
foce del fiume Boorne; ulteriormente assogettati da Carlo Magno durante la conquista della Sassonia, entrono nel regno dei franchi.
Attorno al Mare del Nord, tra i regni Anglo-Sassoni, lo Jutland e la Frisia, fiorì tra VII e
VIII sec. la produzione e circolazione di piccole monete in argento in genere di peso
attorno al grammo, note oggi
come Sceattas. La città frisone di Dorestad, già romana, poi carolingia, è tra i centri di difusione di queste monete; ad oggi però difficilmente
attribuibili, poichè il commercio aumentò la confusione tra monete frisoni, inglesi e merovinge.
Infatti le monete dei Frisi, per nulla originali nei loro conii e a
volte di bontà inferiore, erano per lo più anepigrafi e con una ricca varietà di
figurazioni spesso fantastiche; ricordano molto le stilizzazioni operate dai Celti nella riproduzione delle monete ellenistiche.
Anche se coniate in Inghilterra le sceatte divennero moneta commerciale internazionale su base argentea che si diffuse in tutto il regno franco ed in maniera ancora piu evidente nei paesi sul mar Baltico e divento così la convincente ripercussione delle nuove strutture del commercio su lunga distanza. Cosa che è stata documentata soprattutto dagli scavi archeologici nei punti commerciali.
Le prime monete del tipo della sceatta sono documentate negli anni intorno al 680, nel 700 si hanno già coniazioni nell’area olandese-frisia ed esse determinano la struttura valutaria sino alla fine del VIII secolo quando comincia a prendere piede la riforma monetaria carolingia. Degno di nota il fatto che in una seconda fase della coniazione delle sceatte tra gli anni 20 e 40 del VIII secolo risaltano l’ uno in contrapposizione all’altro punti regionali di addensamento di coniazioni diverse i quali rispecchiano le aree economiche e particolari rapporti commerciali.
Mentre le prime sceatte insulari sembrano coniazioni regie emesse da alcuni regni della cosiddetta eptarchia, altre possono essere collegate con centri commerciali inglesi come Hamvih e Londra e i tre tipi del continente le cosiddette sceattiche runiche frisie, le sceatte di Stachelschwein e quelle di Wodan-Monster possono essere considerati categorie monetali supraregionali.
Esse furono coniate in un gran numero di esemplari e usate dai Pirenei al Baltico, dall’Inghilterra settentrionale al Mediterraneo.
Mentre le sceatte di S. si diffondono su tutto il territorio e soprattutto al sud
quindi nel regno carolingio, i tipi W-M si ritrovano nell’area della foce del Reno sia a nord sia a oriente sino al Baltico e le frisie si ritrovano dalla Renania alla Frisia ma anche nella Francia, particolarmente in Aquitania.**
Il Regno di Audulf (600 d.C. - 621 d.C.) basò principalmente il suo regno nel decidere meglio su come amministrare il proprio stato dividendo il proprio regno in una forma primitiva di quella che sarà poi quella feudale.
Diede molto potere ai più ricchi di ogni città che in cambio avrebbero dovuto dargli parte delle tasse che avrebbero dovuto riscuotere, degli uomini per l'esercito e avrebbero utilizzato da quel momento in poi il primo sistema monetario Frisone: la Frisia. La moneta, così facendo,
si diffuse velocemente in tutto il territorio e prese già da subito grande importanza. Inoltre introdusse un sistema di pagamento delle tasse molto particolare:
il signore di ogni città doveva costruire una casa con due stanze, in una ci doveva essere uno scudo e l'altra doveva essere vuota. I cittadini avrebbero dovuto versare il denaro nella stanza vuota e il signore gli avrebbe poi raccolti.
Monete dei Visigoti
Tra le monetazioni di oro più abbondanti c'era quella dei Visigoti di Spagna e della Gallia Narbonense.
Questa monetazione venne emmessa da 19 dei 20 re di breve durata
regnanti
dal 568 sino all'estinzione del regno visigoto di Spagna ad opera dei mori nel 711.
Era costituita da una sola moneta il triente (o tremisse) ma più grande e più sottile
di prima,
aveva quasi il diametro del solido.*
Spagna visigotica - Triente d'oro, Svinthila (621 - 631), zecca di Merida
Ogni moneta era emessa con il nome del sovrano e di una delle 80 zecche tra
Oporto e
Narbona; i Visigoti avevano inoltre un sistema di zecche altamente organizzato. Lo stile
benchè barbaro non era degenerato e presenta forme
nuove ricavate dagli originali romani,
erano ben definite e ben equilibrate.
Quanto al pagamento delle imposte, i re germanici avevano inizialmente ereditato il sistema
fiscale romano ma essi ebbero sempre meno forza di esigere le vecchie tasse romane: la Chiesa
si era fatta presto riconoscere il diritto all'esenzione, i capitribù che diventavano latifondisti rifiutavano simili pagamenti e la nobiltà fondiaria romana era abituata da tempo a non pagare.
Solo costituendonsi un ricco patrimonio fondiario, ancora una volta poggiante sulle spalle dei
servi e dei contadini, i re germanici riuscirono a crearsi i mezzi per nutrire, vestire e armare
il proprio seguito.
Il dissolvimento dell'economia monetaria non fu totale e non perchè erano rimaste poche
isole
di fatti monetari; anche quando gli scambi di mercato avvenivano nella forma del
baratto, si misurava in unità monetarie il valore dei beni barattati. Gli uomini penavano
in termini di prezzi anche se la moneta era assente.
In molti casi dietro una apparente
vendita contro denaro, c'era
in realtà un baratto, ma l'apprezzamento del valore restava
un fatto monetario.
Monete dei Longobardi
Nemmeno i Longobardi giunti in Italia verso il 565/570 avevano monete proprie e quindi
si adeguardono ben presto al sistema monetario esistente, ovvero il romano-bizantino.
I re Longobardi tra il 686 e il 756/769 coniarono nella loro capitale Pavia, dove accentrarono
la coniazione,
piccole monete d'oro e d'argento in scarsa quantità e oggi rarissime:
si trattava dei soliti tremissi, un terzo di solido, una moneta sottile d'oro con il peso
oscillante tra 1,20 e
1,40 grammi; se ne conoscono diversi tipi pricipalmente di Pavia
ma anche delle officine
monetarie della Tuscia Longobarda (l'odierna Toscana) quali
Lucca,
la capitale, quali Pisa,
il porto,
e di Pistoia, con forse qualche emissione anche a
Chiusi e Cortona.
Monete longobarde sono state rinvenute anche in Svizzera.
A Milano coniarono monete tra il 553 e il 661 e tra il 756 e il 774, a Ravenna tra il 749
e il 756, a Piacenza tra il 749 e il 774 e qualcosa anche a Treviso. Inoltre si spinsero
molto a sud governando i Ducati d Spoleto e di Benevento come attestano le emissioni
effettuate nelle officine monetarie di Benevento tra il 788 e 895, Salerno (861 - 1075)
e Capua (863 - 1007).
Con Astolfo, comunque, il nome del re si impose su tutte le emissioni rendendo dunque esplicitamente regie
anche le emissioni toscane che, peraltro, doveva essere state tali
già in precedenza, malgrado l’appariente
autonomia suggerita dall’originale iconografia.
La monetazione di Desiderio, l’ultimo re, è senza dubbio la più compiutamente
regia
di tutta la serie: infatti, unificò due diversi filoni della monetazione longobarda.
Il sussistere nel sistema monetario dell’VII secolo di piccoli nominali d’argento denota
una
certa complessità
economica che giustifica la produzione di moneta divisionale a
fianco
del tremisse aureo in una fase che, in
ambito longobardo, vide probabilmente
uscire di
scena la moneta di bronzo tardo romana ancora circolante.***
Approfondimento sulle monete dei Longobardi
I Re Merovingi in Francia o quelli Longobardi in Italia continuarono a coniare monete d'oro,
più raramente d'argento. Sarebbe forse erroneo però vedere in ciò un interesse diretto a promuovere
la circolazione dei beni. I re barbarici pensavano di accrescere il loro prestigio
coniando monete d'oro auree ad imitazione di quelle bizantine.
Tali monete con un potere di acquisto piuttosto elevato avevano poi solo due funzioni: l'acquisto di beni di lusso e il
pagamento di penalità pecuniarie.
Eppure questa diffusa convinzione stride con la trattazione di Felice Dahn pubblicata nel 1893
sul diritto finanziario merovingio. Si dimostra in numerosi passi delle fonti come, prima di tutto, sopravvivesse ancora nella Gallia la costituzione finanziari della tarda epoca romana e come
fossero rimasti romani la sua organizzazione (ruoli d'imposta) e i termini tecnici.
Stride anche con un esempio noto del tempo di re Teodoberto, riportato dal Dopsch:
i 7000 pezzi d'oro concessi in prestito dal re ai cittadini di Verdun, su preghiera
del vescovo di Verdun, furono da essi impiegati in speculazioni commerciali!
Nello stesso tempo troviamo nel resoconto di Gregorius vescovo di Tours che i cittadini
di Verdun eseguivano affari commerciali, così come già altre città, e in questo modo si
procurarono grandi ricchezze: l'osservazione è importantissima nella sua generalità!
Bleda e Attila, nel trattato di Margo, volevano la riconsegna dei cittadini romani fuggiti;
ai
romani veniva però lasciata la soluzione di pagare 8 solidi per ogni schiavo!
Teodosio tergiversò sul pagamento di un tributo di 700 libbre d'oro agli Unni.
Attila potrebbe essere non un nome unno, forse non era il nome proprio ma un titolo
germanico che significava "padre" e dei reperti di monete romane ritrovate nella zona di
Reggio Emilia sembrano confermarcelo.
* John Porteous - "Monete"
** I Barbari e l'Italia
*** Alessia Rovelli -
Università degli studi della Tuscia, Viterbo
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