Le monete longobarde |
I Longobardi non conoscevano le monete ma al loro arrivo in italia si adattarono Oscuro più di altre zone è il rapporto tra economia naturale ed economia monetaria in In Italia i Longobardi arrivarono nel 568, anno cruciale per la storia della penisola italica! Fu poi la volta di Aquileia ed in seguito Vicenza, Verona, Brescia, Milano ed infine Ticinum/Pavia, Dal punto di vista archeologico non sono molte le testimonianze ma spiccano quelle legate alla metallurgia, campo nel quale i Longobardi si dimostrarono particolarmente abili. Splendidi corredi di armi si trovano nelle loro necropoli I Longobardi non conoscevano monete metalliche ma al loro arrivo in Italia si inserirono nel sistema bizantino usando prima il circolante romano/bizantino per poi battere delle imitazioni e coniare tipi propri alla metà del secolo VII, prima con una fase di monetazione anonima sino a re Ariperto 652-661 che coniò la prima moneta d‘oro con il proprio nome. I tremissi di Liutprando, tremisse scodellato di Pavia, mm 1,22,entro cerchio lineare busto diademato volto verso destra, nel campo a destra lettera T, nel giro DNLIVT PRAN RX , IN BASSO sul manto lettera A senza trattino orizzontale, entro doppio cerchio lineare l’Arcangelo Michele con scudo tiene un asta sulla destra, nel giro SCSMI HAIL. anche se oggi rari, presentano un grande numero di coppie di conii per cui si può ragionevolmente presumere sia sta abbondante la quantità di esemplari battuti. Riguardo ai Longobardi si potrebbe pensare che la moneta argentea avesse svolto il ruolo di moneta quotidiana: oltre alle monete che imitavano le emissioni di Ravenna soprattutto di Giustiniano e di Giustino esiste una seconda emissione argentea, assente a Cividale, che si pensa possa essersi sviluppata nel VII secolo d.c. Si tratta di monete realizzate con tondelli molto sottili portanti profilo imperiale e monogrammi o croce potenziata o il busto frontale di San Michele o ancora una corona al rovescio che contiene una croce o una mezzaluna. Le più note e discuesse sono le silique attribuite a Pertarito 672-688 ispirate nella tipologia ai denari franchi coevi e presentano il monogramma PER a volte accompagnato da un busto sulla faccia principale. Per queste emissioni coniate forse sul peso della cosidetta siliqua bizantina e frazioni (specialmente quarti e ottavi) non si è ancora individuato con certezza il rapporto col tremisse aureo. Si trattò cmq di una monetazione probabilmente autonoma da quella di imitazione dei tipi bizantini poichè i nomi delle autorità che firmarono le monete erano re o duchi o loro delegati. A parte queste monete argentee è un dato evidente che i Longobardi non coniarono moneta di bronzo, quella da sempre destinata alla circolazione quotidiana. Arslan ha assegnato loro alcune serie di minimi bronzei. La constatazione non è nuova e ha impegnato in passato numerosi autori (vedi Passera) che hanno proposto soluzioni differenti. Cordero di San Quintino 1834 indicò come moneta quotidiana longobarda soprattutto gli argenti di Pertarito e forse Liutprando ma ipotizzò che potessero essere longobardi anche alcuni minuti esemplari di rame di difficile datazione che portavano una croce in corona. Il supposto ruolo quotidinao della moneta argentea trovò d'accordo anche Promis 1857 e Brambilla 1883 che però ritenendone insufficiente la produzione, ipotizzarono che i Longobardi usassero anche monete bizantine. Wroth non escluse che alcune monete bronzee ritenute vandale o gote siano state invece emissioni di zecca longobarda. Monneret de Villard 1919 sostenne invece che fosse possibile ipotizzare il frazionamento della moneta aurea per creare delle unità minori più adatte a rappresentare una moneta spicciola. Grierson 1954 avanzò varie possibilità, che si continuasse ad usare monete romane, che coniassero monete in argeno o rame, che negli scambi si usasse metallo valutandolo a peso sino ad usare moneta naturale. Lo studioso premise che alcune possibilità potessero non solo coesistere ma essere integrate l'un l'altra a seconda dell'esigenza del momento. Bognetti ammise che certo non si poteva ammettere un uso giornaliero dei tremissi d'oro ma anche le monete d'argento erano così rare che nemmeno per l'argento si poteva ipotizzare l'uso nel commercio di ogni giorno. Egli ritenne possibile anche che si fosse scelto di usare negli scambi dei beni di consumo quotidiano dal valore noto e condiviso che erano però rapportati alla moneta aurea effettivamente coniata. Osservando poi la oggettiva penetrazione della moneta bizantina in terriotorio longobardo testimoniata soprattutto dal ritrovamento di folles enei come a Cividale, Arslan ha ipotizzato che la moneta bronzea bizantina possa aver costituito circolante alternativo alle emissioni argentee locali. Secondo questa ricostruzione la monetazione longobarda si inserirebbe nel solco della preesistente monetazione ostrogota in cui altri metalli (argento e bronzo) avrebbero assunto un ruolo altrettanto importante rispetto alla moneta d'oro, differenziandosi da altri stati barbarici con monetazione monometallica. Pare quindi di poter affermare che gli studiosi odierni concordino con molte delle intuizioni avanzate dagli studiosi della seconda metà del XX secolo: a fronte della coniazione di una moneta aurea dall'alto potere di acquisto si dovettero utilizzare varie forme di transazione compresi certo beni in natura e metalli a peso.
Il soldo d’oro è moneta effettiva bizantina ed è imitato dai popoli invasori dell’impero romano d’occidente. Questo soldo d’oro scade a un modesto triens, ovvero 1/3 di solido bizantino, Il soldo e il tremisse merovingi erano andati costantemente peggiorando, contenevano cioè
- Denier, church of Reims (670-696) di 1,26 gr - Denier, bishopric of Paris (725-750) di 1,04 gr Con Astolfo, comunque, il nome del re si impose su tutte le emissioni rendendo dunque esplicitamente regie
anche le emissioni toscane che, peraltro, doveva essere state tali La monetazione di Desiderio, l’ultimo re, è senza dubbio la più compiutamente
regia Fu proprio il tipo dello stellato ad essere adottato da Desiderio sia per le emissioni delle Quindi nel momento in cui i Longobardi entrarono in Italia conobbero una organizzazione fiscale che decisero di mantenere. Quando però la naturale inflazione dei valori di conto, certamente determinata anche dal continuo rapportarsi con il parallelo sistema monetario bizantino, richiese adattamenti della moneta, i tremissi longobardi dovettero essere rivalutati e furono coniati con un bordo più largo per rappresentare il valore accresciuto. Ma questo adattamento dovette riguardare in qualche modo anche la moneta argentea. I dati raccolti statisticamente sia in aree bizantine sia longobarde sia nei tesori delle monete argenetee e in genere sull'intero stock disponibile di questo metallo dimostrano che esso in età altomedioevale andò rarefacendosi anche in Italia. Diversi studiosi richiamarono questa tematica e Werner e poi Arslan ritenevano che i Franchi durante il dominio in Italia dal 539 al 563 si sarebbe verificato un drenaggio sistematico della moneta argentea verso l'odierna Francia. In effetti nelle tombe merovinge l'abbondana di nominali argentei è nettamente superiore rispetto al panorama coevo della penisola italiana. Il sussistere nel sistema monetario dell’VII secolo di piccoli nominali d’argento denota
* Alfons Dopsch - Economia naturale ed economia monetaria - 1930 *** Rivista Monete Antiche **** Alessia Rovelli - Università degli studi della Tuscia, Viterbo
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