Dante e i falsari di monete e del fiorino |
Dante Alighieri è il Poeta della lingua Italiana. Nella "Divina Commedia"
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Nella nostra prima analisi delle monete citate nella "Divina Commedia" ci occupiamo della strana definizione del fiorino come "moneta maledetta". Nella morale cristiana che Dante integra con quella aristotelica e rivisita, come vedremo, alla luce della nuova economia del denaro, l’avarizia ha il rango di peccato capitale. L’avarizia è più prona ad essere generata dalla ricchezza ed è significativo che Dante, sia che parli della moneta fiorentina, delle ricchezze in generale, o dell’avarizia, usi nei vari contesti lo stesso aggettivo maladetto. Siamo nel canto IX del Paradiso "La tua città, che di colui è pianta […] « La Divina Commedia » Il simbolismo del lupo continua nel VII canto, quello degli avari e prodighi, quando Virgilio mette a tacere Pluto, guardiano del cerchio, chiamandolo maladetto lupo, e ancora nel XX canto del Purgatorio dove la lupa riappare, inconfondibile allegoria dell’avarizia: "Maladetta sie tu, antica lupa, |
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Maladetta, come le maladette ricchezze del Convivio o il maladetto fiore di Firenze, la lupa annuncia qui l’incontro con Ugo Capeto e il racconto dell’avarizia che aveva caratterizzato questa dinastia regnante. La dimensione politica dell’avarizia è chiara qui come nel primo canto dell’Inferno in cui Virgilio predice l’arrivo del Veltro. Dicevamo strana quella definizione di maledetta estesa anche al fiorino d'oro, il simbolo della potenza economica a finanziaria della città, che la rese famosa in tutta Europa, persino in Ungheria o in Russia. Dante lo intende come un frutto maledetto della pianta dell'invidia, che è creato a Firenze e spanto (trasportato) anche in altri paesi. In sostanza vede nel fiorino una delle cause che ha rovinato la vita austera ma corretta dei cittadini, invogliandoli all'usura e all'avarizia, oltre alla brama di ricchezze e di potere. Riprova di questo è in cui Dante considera Firenze e la sua ricchezza responsabili per la corruzione delle guide spirituali e mostra solo disprezzo per il prestigio economico della sua città, prestigio fondato appunto sull’eccellente credito del fiorino. Dell'episodio dobbiamo tenere a mente tre considerazioni: 1) 2) 3)
Secondo Forlenza, la ragione del disprezzo di Dante non è solo di natura etica ma
anche politica. Nell’agire come depositari delle decime della Chiesa in qualità di
banchieri dei papi, i fiorentini trasferivano loro questi proventi in fiorini e i papi a
loro volta li distribuivano al clero. I banchieri fiorentini sostenevano anche le attività
commerciali lucrative del clero con prestiti, alimentando così ulteriormente la loro
cupidigia. Parafrasi o versione. Firenze è rappresentata in questo passo come una pianta diabolica da cui sboccia e si diffonde il maladetto fiore. Come il frutto proibito per Adamo ed Eva, così è questo fiore per Firenze: il suo peccato originale, ciò che la rende città caduta, mondo pastorale sottosopra fondato sull’invidia di Lucifero per i beni goduti dai nostri progenitori nel paradiso terrestre—gli stessi beni da lui perduti dopo la ribellione contro Dio e quella stessa invidia che, come sappiamo dal primo canto del poema, aveva sguinzagliato la lupa fuori dall’Inferno: «là onde ’nvidia prima dipartilla». È risaputo che Dante riserva la più grande ammirazione per il modello assoluto di Francesco d’Assisi che sfida i valori economici del suo tempo rifuggendo del tutto non solo il denaro ma qualsiasi altra forma di proprietà materiale. - Il Fiorino, moneta di Firenze, fu coniato in
tratte diverse. Lord Vernon nelle sue "Illustrazioni"
ha raccolto « che il primo Fiorino fu coniato nel 1252
d’oro puro, e secondo il Villani, fu al titolo di ventiquattro carati e del peso d’un ottavo d’oncia. La
repubblica fiorentina durante i suoi maggiori infortuni, e fino agli ultimi anni della sua esistenza,
mantenne sempre il fiorino d’oro della stessa bontà
e dello stesso peso. Al tempo di Dante i fiorini d’oro
erano sparsi e circolavano in tutti i paesi d’Europa, sulle coste di Barbarie, dell’Egitto e di Romania.»
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