Quadro storico dal tardo Impero al Medioevo |
Ritorno al passato Dalla scarsità di denaro al disordine monetario Occorsero secoli prima che in seguito alla rinascita dei commerci e dell'industria nelle città, si ricostituisse un'attività economica mercantile che tornasse a fare uso della moneta come unità di misura del valore e mezzo dello scambio. Nel frattempo però era giunta la fine per il denario carolingio, solido e di buon peso, che veniva coniato nel sacro romano impero come pfennig e nei regni sassoni d'Inghilterra come penny: una fine ingloriosa che lo vide ridotto ad una monetina di spicciola di minimo valore. Era accaduto che già nel X secolo i sovrani tedeschi avevano concesso il diritto di battere moneta a numerosi potentati laici ed ecclesiastici che arbitrariamente ne stabilivano il titolo ed il peso; quanto più debole era l'autorità centrale tanto più aumentava il numero di queste zecche e di conseguenza i tipi di pfennig d'argento circolanti (che traevano origine dal denario). Se chi li emetteva era potente ed autorevole il pfennig aveva un certo valore : così ad esempio quello di colonia serviva in vaste regioni del nord della Germania mentre quello di Vienna aveva corso in Austria, nel sud della Germania e in Ungheria. Moneta al bando Ma era irresistibile per chi coniava moneta la tentazione di arricchirsi senza fatica a tale scopo si poteva ricorrere a due mezzi: alla classica riduzione del titolo o del peso oppure alla recente introduzione della cosiddetta messa al bando delle monete. Nel XII secolo si impose la costumanza di mutare ogni anno le effigi impresse sui pfennig e le monete dell'anno precedente venivano messe al bando . Chi le voleva cambiare doveva rassegnarsi ad una perdita sulla percentuale dell'importo complessivo che poteva raggiungere anche il 25% . Le differenze di valore frutto di queste riforme monetarie arricchivano i potenti che soltanto nel XIV secolo rinunciarono a questa costumanza, sostituendola però con gravosi balzelli, di solito sotto forma di imposte sui vini. Il pfennig in altre parole almeno in teoria non veniva più deprezzato anno per anno ed entrò in vigore il cosiddetto pfennig eterno, che tale però non era affatto e infatti di continuo se ne diminuiva peso o titolo, cosa del resto indispensabile per adeguarne il valore a quello dell'argento in barre, continuamente fluttuante a causa della mutevole produzione mineraria. Alle riduzioni dettate da questi motivi s'aggiungevano quelle aventi scopi meramente fraudolenti Lo stato aveva perso la possibilità di esercitare un controllo su peso e titolo Nel XII secolo i pfennig erano arrivati ad essere dischetti d'argento talmente sottili da permettere la battitura su una faccia sola, da qui il termine bratteate (dal latino bractea, lamina di metallo) con cui passarono alla storia della numismatica. Perfino quello viennese perse buona parte del proprio valore: se nel 1354 per un fiorino d'oro ungherese occorrevano 94 pfennig, nel 1400 ce ne volevano150 e non meno di 330 nel 1536; a partire da questa data esso fu travolto dalla inflazione galoppante a causa delle continue crisi politiche e del continuo stato di guerra. Questo avveniva non solo nei territori del Sacro Romano Impero Germanico ma anche in Francia; lì a partire dal 1266 prese a circolare il gros tournois, una moneta d'argento di notevole valore la cui emissione era stata promossa dal forte bisogno di denaro richiesto dalla Crociate. Monete d'argento equivalenti al gros francese furono coniate anche in Italia (grosso) e in Germania (groschen). Ma di secolo in secolo anche queste ultime andarono a deprezzarsi fino a divenire monete solo di rame. Il profitto che i principi ricavavano dalla monetazione e dalle frodi monetarie era chiamato signoraggio, cioè imposta dovuta al re sulla coniazione delle monete. La coniazione di moneta buona o cattiva dipendeva non soltanto dalle oscillazioni del prezzo dell'argento e dall'onestà di coloro che avevano diritto di battere moneta ma anche dai bisogni monetari della corona, la quale inoltre non si faceva scrupolo di scaricare la responsabilità di eventuali svalutazioni su coloro cui spettava il compito della coniazione. Così quando Carlo VII si trovò impegnato nella guerra contro Inghilterra e quindi in continue difficoltà finanziarie, il ricco commerciante di Bourges, Jacques Coeur divenuto tesoriere di corte, col consenso del sovrano provvide a far coniare moneta con un valore effettivo inferiore a quello nominale. Ma quando si facevano sentire le conseguenze dell'inflazione ecco che il re ricorreva ai commissaires reformateurs i quali regolarmente mettevano sotto accusa i responsabili delle zecche, e se J C se la cavò su soltanto grazie ad un atto di clemenza del sovrano. Anche in Inghilterra soprattutto nella prima metà del xvi secolo a opera dei sovrani Tudor, Enrico VIII ed Edoardo VII venne sistematicamente coniata moneta il cui valore intrinseco era inferiore al valore nominale, ma mente i precedenti sovrani britannici si erano limitati a diminuire il peso della monete, a partire dal 1542 se ne alterò anche il titolo tanto da ridurlo un quarto di quello originale. Le inevitabili conseguenza furono aumento dei prezzi e un diffuso stato di miseria inducente a continue rivolte contadine e salariati. In Germania fu l'epoca dei falsificatori di moneta, mentre nel 1618 per un marco d'argento venivano coniati solo 110 groschen, nel 1620 erano diventati 130. la vita rincarò in proporzione e il processo inflazionistico risultò continuò implacabile. Le autorità si guardavano bene dall'intervenire sia perché i principi, impegnati nella guerra dei 30 anni, ricavavano cospicui e regolari redditi dalle zecche sia perché l'economia, avente sempre più bisogno di danaro per la sua espansione, soprattutto verso oriente, reagì almeno in un primo tempo assai favorevolmente all'enorme aumento del medio circolante. Anche da questo periodo è possibile trarre una lezione di valore universale: i processi inflazionistici che producono moneta a buon mercato e la fanno affluire all'economia attraverso migliaia di canali diversi all'inizio hanno sempre avuto un effetto positivo, producono una situazione congiunturale favorevole. L'economia ha a disposizione somme maggiori di cui si serve per espandersi, il consumatore spende a cuor leggero il denaro che facilmente guadagna, e a trarne i maggio benefici è il commercio. L'aumento dei prezzi si verifica solo nel secondo stadio dell'inflazione, quello in cui diviene evidente l'alterazione del rapporto di equilibrio tra quantità di moneta circolante e merci offerte in vendita. Promuovere congiunture favorevoli col ricorso allo svilimento della moneta è equivalso e appare tuttora a scherzare col fuoco. Le conseguenze dell'inflazione del xvII secolo furono catastrofiche. Negli opuscoli e nei libelli stampati alla macchia, la svalutazione veniva paragonata alla peste, e nei trattati ecclesiastiche contro i falsificatori questi venivano definiti servi del diavolo. Si giunse a sollevazioni cittadine, assalti alle zecche, e in più di una località, al ritorno all'economia rurale soprattutto quando la moneta svalutata divenne cambiabile in moneta buona imperiale con un disaggio ossia perdita nel cambio del 87 percento. Sono più di uno gli storici dell'economia che affermano che la pessima politica monetaria di quel periodo ha inciso sull'economia della Germania in modo non meno rovinoso della guerra dei 30 anni.
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