Economia naturale e monetaria nel Medioevo



In una economia naturale non esiste una misura di valore come la moneta e il mezzo di scambio diventa il baratto. Per la numismatica è molto importante conoscere i periodi
in cui esisteva una economia monetaria e sino a che punto era diffusa e sviluppata.


Ma prima di tutto a cosa serve la moneta ?

Come misura del valore essa stabilisce il prezzo di un bene in unità monetarie.
Come mezzo di scambio essa rende più fluida la circolazione del mercato rendendo possibile
lo scambio con un bene universale ed eliminando le difficoltà inerenti al baratto fra beni qualitativamente diversi. Come mezzo di pagamento essa consente di far fronte a obblighi
monetari quali il pagamento di un imposta o di una pena pecunaria, di un interesse su un
prestito monetario o su un debito. Infine come riserva di valore essa consente di accumulare
una ricchezza costituita da un bene universale, scambiabile immediatamente con altri beni
e non deperibile.

A cosa poteva servire la moneta nell'economia alto-medioevale ?

Dopo il crollo dell'impero romano occidentale l'economia si era ridotta ai suoi componenti elementari, dal momento che l'industria e gli scambi commerciali si erano molto ridotti.
Ciò ebbe per conseguenza l'inizio della formazione della "curtis feudale", dove il castello o il convento con i loro possedimenti terrieri divennero entità economiche indipendenti, in cui si produceva tutto autonomamente oppure si ricorreva agli scambi di beni in soprannumero.
Della moneta si faceva a meno, era non solo la merce più rara ma anche la meno richiesta.
Le monete d'oro avevano perduto la loro funzione di denaro circolante, assegnata durante
l'antichità classica per tornare a quella protostorica di beni da tesaurizzare. Esse cambiavano proprietà solo in seguito a matrimoni o eredità, erano fuse per trasformarle in oggetti
ornamentali e servivano all'alta aristocrazia per pagamenti di carattere eccezionali.

La quantità e la tipologia di beni avviabili ai mercati, in questa epoca di scarsità e di
carestia, era molto limitata. I mercanti per contro erano molto deboli in seguito alla
decadenza delle città e alla generale insicurezza che regnava sulle vie di comunicazione.
La funzione "mezzo di scambio" era abbastanza prossima all'azzeramento.

Non le merci ma la terra costituiva la ricchezza dell'Europa dell'VIII Secolo; la terra però di per
sè non è niente: solo il lavoro umano la rende una ricchezza ma in quell'epoca la manodopera
era scarsa e preziosa. Essa doveva quindi essere rigidamente controllata e incatenata al suolo:
il bene essenziale della forza-lavoro compariva perciò nella forma coatta della corvée, la quale richiedeva da parte dei signori prestigio e forza, non la moneta. Accanto alla corvée anche i
canoni in natura erano anch'essi contrari che vi fosse un bisogno di denaro.

Le monete dovevano poi essere fatti di metalli preziosi ma essi circolavano poco e male.
Il denaro non era più una buona riserva di valore; i metalli monetati erano fusi e trasformati in
oggetti preziosi, oggetti sacri nelle chiese e simboli di prestigio nelle residenze signorili.

R.Nietsche arriva ad affermare che un contadino del Medioevo, se avesse avuto la fortuna di possedere un denaro, non avrebbe saputo come usarlo e l'utilità sarebbe stata nulla: "di una moneta si poteva farne suppergiù quello che si potrebbe farne oggi su un isola deserta".**

Come avveniva agli esordi dell'economia era più facile scambiare merci contro merci
che non contro monete d'argento.

Nell'economia naturale o lo scambio manca del tutto, ed allora è economia naturale pura o
le merci sono barattate direttamente con merci, scambio in natura. Invece l'economia monetaria
è fondamentalmente contraddistinta dal fatto che le relazioni eocnomiche si attuano con l'aiuto di un mezzo circolante, la moneta, riconosciuto come un generale valore di scambio. Questa moneta puè essere diversa presso i vari popoli a seconda dei tempi e dei luoghi e come esempio serva la moneta costituita da scambi di bestiame (Viehgeld) specialmente da vacche nel primo periodo germanico o da conchiglie, i cauri, presso gli isolani dell'oceano Indiano o del Pacifico.

Dalla moneta in natura al metallo prezioso nobile e da questo punto sino al metallo in forma di denaro, si svolse un lungo processo di sviluppo. Il suo gradino più alto fu raggiunta nell'epoca moderna allorchè la cosidetta economia creditizia rese sempre più superfluo l'uso effettivo di un generale mezzo di scambio e creò una forma più elevata di economia monetaria, resa possibile
dalla tecnica delle relazioni economiche.

La teoria dei gradi dell'economia sviluppata nell'Ottocento è certamente influenzata
dalla teoria dell'evoluzione di Charles Darwin.

Già nell'età della Grecia antica furono distinti dei gradi dell'economia, e l'opinione più nota
è quella di Carlo Bucher, assurta a importanza dogmatica col notissimo libro "Le origini dell'economia", il quale prese spunto dalle tesi enunciate nel 1867 dal noto economista
Schonberg.

Il Sombart riconosceva che l'economia per il consumo diretto come quella di scambio e la monetaria stanno l'una in una certa dipendenza dall'altra; l'economia di scambio sviluppa la tendenza all'uso della moneta, ma la moneta non presuppone lo scambio, un bene usato come moneta compare solo nell'applicazione di multe, imposte...

quelli meglio storiograficamente preparati cercarono di stabilire l'innegabile fenomeno di un movimento monetario al tempo dei carolingi come insignificante o non importante e nello stesso tempo di porre in evidenza quegli eventi come il rifiuto della moneta si erano presentati sino allora come una caratteristica dell'economia naturale di quel tempo. Paolo Sander andò tanto oltre da credere che la mancanza dell'economia monetaria avesse impedito che le riserve di metallo nobile allora esistenti fossero poste in circolazione. Il divario tra l'oriente e l'occidente della Francia,
messo specialmente in rilievo dall'Inama-Sternegg sembrò così peruasiva che Sander volle salvare la tesi dell'Inama sotto tutti gli aspetti e avanzò così la teoria che nelle regioni est
della Francia, nei territori a destra del Reno, si trovasse sempre una tale preponderanza dell'economia naturale che le riserve di metallo nobile colà esistenti non fossero prese in considerazione per la formazione del commercio monetario.

Questa interdipendenza, evidente per i principi fondamentali dell'economia non è stata avvertita specialmente da alcuni studiosi francesi. Un buon conoscitore delle fonti come L. Halpen torna a sostenere la vecchia teoria della scarsa importanza del commercio e dell'industria carolingia, e nega, come anche H. von Werveke, ogni significato del commercio, dando per sicura l'esistenza
di una economia domestica chiusa.
Quali difficoltà avrebbero dovuto sorgere da tutto questo ?

Dopsch si domanda "Chi dunque avrebbe mai dovuto provvedere alla fornitura di quelli articoli industriali di necessità quotidiana che neppure i grandi proprietari fondiari erano in grado di produrre in proprio ?"

Ma la varietà dell'economia, la policromia delle sue distinte condizioni e la loro possibilità di esistenza non sono affatto considerate o per lo meno, non lo è la coesistenza di diverse forme
di economia, in quanto pensate solo come successive l'una all'altra.

Perciò il tentativo di ricondurre a pure cause economiche e specialmente alla contrapposizione
tre le due economie, la diversità dello sviluppo statale tedesco in confronto di quello inglese e francese intrapreso da alcuni economisti non è soddisfacente.


W. Lotz già nel 1908 avanzò la tesi secondo la quale l'economia naturale e la mancanza
di denaro abbiano fondato in Germania lo stato feudale e condotto alla caduta del potere
centrale. Ciò sarebbe stato l'elemento tragico nella storia del vecchio stato tedesco
"che la potenza centrale quando nuovamente cessò l'ora della monetaria non era preparata a governare e ad amministrare secondo quell'economia". In Germania il periodo aureo
della potenza imperiale cadde in tempi che abitualmente si sogliono considerare di pura o preponderante economia naturale.
Al contrario in Inghilterra l'economia monetaria avrebbe condotto già nel XI° Secolo al rafforzamento della Corona e in Francia col debellamento del feudalesimo avrebbe fondato
nel XIII° Secolo un potente regno nazionale. In Italia invece l'economia monetaria era
penetrata assai presto e tuttavia non produsse nessuna potente forza centrale.

La concezione in auge sinora del rapporto tra monetaria e naturale ha posto alla fine economisti
e storici in una certa difficoltà, perchè non si deve disconoscere che in tempi di economia
monetaria sviluppata appaiono segni notevoli di procedimenti secondo la naturale. Dal punto
di vista della dominante teoria dell'evoluzione ciò non potrebbe spiegarsi altrimenti se non con l'ipotesi di ricadute dell'economia allo stato precedente. Questo modo di rappresentarsi le cose
è tipico per il tardo periodo romano, il III° Secolo presentò questo fenomeno di retrocessione;
da quando Max Weber enunciò questa teoria nella sua "Romische Agrargesch" del 1891
essa è sempre stata accolta senza critica. Sembra a favore di ciò militassero non soltanto
indizi della decadenza dello stato romano ma anche l'apparire dei barbari germanici a cui la
moneta sembrava fosse ancora sconosciuta. Non pochi economisti e non pochi storici vollero
poi far durare questo ritorno per molti secoli, sino a Carlo Magno, per quello parlano del primo Medioevo come di un'epoca di pura economia naturale.

 

Lopez e il commercio nell'età barbarica

I pochi privilegiati che disponevano di cibo e denaro in abbondanza avevano di solito un robusto appetito ma scarso interesse a raffinare le proprie abitudini di vita: tenevano inoperosi i loro tesori nei forzieri o li impiegavano nell'acquisto di gioielli di immediata godibilità anzichè investirli rischiosamente negli affari. In queste circostanze (più che nel deflusso dei metalli preziosi verso paesi più ricchi al di là dell'Europa occidentale) va ricercata la ragione della rovinosa caduta dei prezzi in una situazione di scarsità della maggior parte dei beni e dei servizi; ciò spiega anche perchè il lavoro della zecca si ridusse alla coniazione di un esile flusso di monete dotate del più alto potere di acquisto, mentre le monete divisionali usate per le transazioni quotidiane a poco a poco scomparvero. La gente normalmente cercava di produrre o di far produrre ai suoi dipendenti quasi tutto ciò di cui aveva bisogno. Le transazioni di piccola entità che avevano ancora luogo, e molte di quelle di maggior valore, avvenivano molto spesso in forma di baratto: la permuta poteva avere per oggetto una fetta di pane, uno staio di grano, fino ad un intera proprietà terriera con tutto il bestiame e i servi ad essa legati. Il denaro serviva soltanto per gli acquisti in grande e di carattere eccezionale oltre che per il tesoreggiamento.

Questo quadro generale presenta tuttavia numerose sfumature. Praticamente è impossibile distinguere un periodo cronologico dall'altro nella storia dell'agricoltura dell'età barbarica,
poichè le colture si trasformano con molta lentezza e lasciano dietro di esse scarse tracce documentarie. Meno difficile è seguire l'evoluzione del commercio e dell'artigianato, ma
anche qui l'accesa e dotta discussione che per quasi 50 anni ha polarizzato l'attenzione degli
storici dell'economia si sta esaurendo senza che si sia raggiunto un accordo generale.
L'oggetto fondamentale della discussione è stato il confronto tra la prima e la seconda
metà dell'epoca barbarica: in Francia tra il periodo merovingio e quello carolingio, in Italia tra
il periodo longobardo e quello carolingio, in Inghilterra il primo e il secondo periodo
anglosassone...
Prima dell'inizio della discussione si dava per scontato che vi fosse stato un continuo declino durante tutta la prima metà dell'epoca barbarica nel corso della quale il punto più basso di
tutta l'attività economica sarebbe stato toccato fra il VII e e VIII secolo; mentre nel periodo
carolingio vi sarebbe stata una ripresa purtroppo stroncata sul nascere dal crollo dell'impero
e dalla successiva ondata di invasioni del IX secolo.

Questa visione non era però sorretta da precisi dati quantitativi sul commercio e l'industria
dei due periodi (per quanto riguarda il periodo merovingio le notizie utili sono ben poche)
ma si fondava sull'ipotesi che le tendenze dell'economia corrano parallele a quelle, assai meglio conosciute, della cultura, della letteratura e dell'arte, della filosofia, della politica e della guerra. Una simile ipotesi meritava di essere combattuta e lo fu infatti a un punto tale che si arrivò a rovesciare il giudizio tradizionale sino ad affermare che l'epoca carolingia fu un'epoca di
depressione e regressione economica seguita a un periodo non troppo sfortunato. Furono
scovati nuovi documenti ma nessuno conclusivo e la revisione dei vecchi giudizi provocò
un certo numero di controrevisioni.

I dati quantitativi sono ancora mancanti e il quadro resta controverso ma la discussione ha avuto almeno due risultati utili. Da un lato ci ha ricordato che le vicende dell'artigianato e soprattutto del commercio estero sono legate agli eventi internazionali. In effetti le mutate relazioni dell'Occidente con Costantinopoli, il sorgere dell'Islam e il suo consolidamento nella parte meridionale del bacino del Mediterraneo ebbero delle ripercussioni Europa che non è più possibile trascurare. D'altro lato è stata attirata l'attenzione sulla differenza esistente tra un primo periodo, nel quale l'eredità romana non era ancora totalmente scomparsa ma non aveva avuto ancora inizio un reale adeguamento alle mutate condizioni e un secondo periodo nel quale Roma non era più che un lontano ricordo, ma una nuova realtà economica emergeva solo con lentezza. Poco importa che non si sia in grado di affermare con certezza se uno dei due periodi fu lievemente migliore dell'altro poichè entrambi furono essenzialmente periodi di depressione.

Anche dal punto di vista geografico vi furono delle disparità e inclusero un gran numero di variazioni locali. In Italia una tradizione seppur degradata di vita e di attività urbana sopravvisse alla prima ondata barbarica da parte degli Ostrogoti e alla successiva riconquista bizantina, subito dopo i Longobardi occuparono gran parte del paese ma subirono in qualche misura l'influenza delle abitudini e dei costumi vigenti nelle zone ancora governate in nome di Bisanzio; gli stessi Franchi di Carlo Magno in Roma dovettero comportarsi come i Romani. Un filo tenue ma ininterrotto collegò dunque l'antica città italiana a quella del tardo Medioevo. Anche in Spagna non vi fu alcuna drastica rottura fra il declino dei centri urbani sotto il dominio dei Visigoti e la rinascita della vita cittadina promossa dai conquistatori arabi. Anzi nell'Europa occidentale l'intera area mediterranea trasse grande beneficio dai rapporti col mondo bizantino e con quello islamico, in netto contrasto con l'isolamento in cui vissero le regioni dell'entroterra continentale.

Più modesti traffici commerciali, un più rozzo artigianato e città più primitive cominciarono ad apparire anche tra il mare del Nord e il mar Baltico: fra gli Anglosassoni, i Frisi, gli Scandinavi e i Germani abitanti sulle rive del Reno si sviluppò una attiva concorrenza per lo sfruttamento delle possibilità economiche nascenti lungo la frontiera che divideva i barbari semicivilizzati dai barbari non civilizzati. Tutti quei popoli alternavano il commercio con l'agricoltura, la pirateria e la guerra.

Un certo volume di traffici commerciali era possibile anche all'interno dell'Europa occidentale e centrale dovunque un monastero o una sede arcivescovile o episcopale creava un gruppo di potenziali consumatori oppure un signore particolarmente raffinato non si accontentava di ciò che
i suoi sudditi poteva produrre per lui. Nella maggior parte dei paesi d'Europa le visite dei mercanti erano rare quando non vi fossere delle carestie, delle pestilenze o delle invasioni: Questa calamità naturali aprivano delle gravi brecce nella sottile armatura dell'economia natuale autosufficiente:
in tali circostanze l'aiuto (non sempre disponibile) di un mercante internazionale, spesso ebreo,
era l'unica alternativa alla probabile morte per fame. Ma c'erano anche delle occasioni più
piacevoli, come l'apparizione di un venditore ambulante in un giorno festivo; e persino il
villaggio più arretrato monetariamente era costretto a comperare il sale, se proprio
non poteva procurarselo altrimenti.

Bisogna guardarsi dal sopravvalutare il volume degli scambi commerciali nell'età barbarica: anche nei momenti migliori e nelle località dove la vita era più intensa, essi furono scarsi. Ma dobbiamo anche stare attenti a non considerare l'economia di mercato allora esistente come una quantità trascurabile. In un paese di ciechi anche l'orbo diventa re!

Le fonti relativi ai secoli dell'Alto Medioevo raccontano spesso di "grandi" città, di "ricchi"
mercanti o di fabbri "famosi": così infatti apparivano nel quadro generale del loro tempo.
Le condizioni degli schiavi migliorarono lievemente con l'aumentare della loro rarità e così
mercanti, fabbri e operai specializzati acquisirono un ruolo sociale più rispettabile e riuscirono
in alcuni casi ad avere accesso alle classi superiori e migliorare la loro condizioni. Il caso più singolare e interessante è quello dei coniatori di monete i quali passarono dalla poco invidiabile posizione di operai della zecca imperiale sottoposti ad un duro lavoro, a quella di imprenditori indipendenti o di alti funzionari dei governi barbarici. Il loro numero e il grado della loro abilità caddero assai di sotto di quelli dell'epoca romana; ma il fabbricante e manipolatore di monete diventò un importante personaggio in tempi in cui il numerario era scarso e il credito difficile
da ottenere.

La Chiesa occidentale considerava peccaminoso il desiderio di ricchezza, di cui il mercante sembrava il rappresentante più tipico e rafforzava gli argomenti razionali degli antichi filosofi
contro il prestito monetario con una condanna morale degli interessi da mutuo come un
peccato contro la carità.

 

Fonti principali:

* Alfons Dopsch - "Economia naturale ed economia monetaria" - 1930

** Roberto S. Lopez - "La rivoluzione commerciale nel Medioevo" - 1975

*** Henry Pirenne - "Maometto e Carlo Magno"

**** Gino Luzzato - "Breve storia economica dell'Italia Medioevale" - 1958

**** Lamberto Incarnati - "Moneta e scambio. Nell'antichità e nell'alto Medioevo" - 1953

****** Armando Sapori - "La mercatura medioevale" - 1972