Le monete di Roma dalla Repubblica


Nel IV secolo A.C. lo stato romano, impegnato ancora a lottare per il predominio nella penisola italica, poteva considerarsi a paragone dei paesi del mediterraneo orientale e dell'Asia Minore, dalla fiorente vita economica, quella che oggi diremmo una zona sottosviluppata. Quasi nulla era la sua partecipazione agli scambi internazionali, e di ben poco conto la sua moneta: si trattò dapprima di pezzi informi fusi di bronzo aes rude, e quindi a partire della fine del IV secolo di pesanti pezzi di bronzo fuso, grosso modo in forma di monete, aes grave. Sia uno che l'altro tipo di monete avvano uin  aspetto assai poco attraente e non erano per niente maneggevoli. La parola aes deriva prob da assum, arrosto e ricorda il sacrificio e il banchetto sacro.

Aes rude e aes signatum

Il carattale sacro della moneta perdurò anche nei successivi tipi rappresentati il dio Giano bifronte. Queste prime monete furono il germe destinato a dar vita alla futura valuta romana a corso internazionale. Quando Roma si fu assicurata il dominio sulla penisola italica, penetrando nel Mediternaneo e conquistando a Taranto enormi quantità d'argento, potè a partire dal 268 a.c procedere all'emissione di monete d'argento imitando i didrammi della Magna Grecia e recanti la leggenda "romano".
Il continuo aumento della quantità moneta circolante non accampagnata da un corrispondente aumento di beni, provocò ben presto un deterioramento della situazione economica negli stati formatisi dal crollo dell'Impero macedone e soprattutto in Egitto si verificarono chiari sintomi di inflazione.

Giano bifronte

Roma ne trasse le debite conseguenze: la presunta garanzia degli dei greci e asiatici circa l'intoccabilità del valore della moneta non era poi troppo degna di fiducia.
Decisi a salvaguardare il valore della propria valuta i romani instituirono allora una vera zecca con sede nel tempio di Giunone Moneta, "l'ammonitrice" da 'monere' "ammonire".
GM aveva come simboli la bilancia ed il corno dell'abbondanza; derivano dal suo nome l'italiano moneta, money, monete e munzen "conio", il francese monnaie, e lo spagnolo moneda. Quando i romani conquistarono la Spagna, ricca d'argento, si verificò la solita inondazione di metalli preziosi e la svalutazione della moneta romana.
Alle prime monete d'argento si erano sostituiti i cosidetti quadrigati e vittoriati e infine all'inizio del secondo secolo A.C. il denario.

Denario d'argento

Il denario repubblicano rappresentava la paga gionaliera di un legionaro; quindi si può dire "il denario segue le legioni": le regioni prese da Roma venivano via via integrate nel sistema monetario romano: Roma vittoriosa privò dapprima le città della penisola e in un secondo tempo anche quelle della Sicilia del diritto di battere moneta in proprio; il denario penetrò in Spagna, nei territori dell'Africa del nord, e quindi nella Grecia, nell'Egitto e nell'Asia Minore. Andò così formandosi la seconda valuta di carattere mondiale, dopo quella di Alessandro Magno.

Giulio Cesare, grazie ai metalli preziosi predati nelle sue campagne, potè procedere alla maggior emissione di monete d'oro dell'antichità, e facendo imprimere su di esso la propria effige creò il primo conio-ritratto romano.
Fino all'epoca di Cesare, la Repubblica era rimasta fedele alla moneta d'argento il cui valore era però instabile. Con la conquista di nuove province ricche di miniere d'argento e con il trasporto a Roma frutto delle molte guerre di conquista, il mercato fu periodicamente inondato da flussi di grandi quantità d'argento con conseguente deprezzamento del denario.

I pesi delle monete Romane

Sotto Augusto la valuta romana divenne l'aureo, moneta come dice il nome d'oro accanto alla quale avevano corso legale i denari d'argento, 25 dei quali formavano un aureo. Poichè d'altro canto il valore della moneta dipendeva dalla quantità di metallo disponibile per la monetazione, si giunge ad una cosante alterazione del rapporto di valore tra oro e argento.
Quando Roma si trovò a non poter più coprire il suo fabbisogno d'argento ebbe inizio quella che oggi si definisce inflazione strisciante, vale a dire la lieve ma sistematica riduzione del valore della moneta, processo che a quel tempo assumeva la forma del sistematico svilimento della lega usata per la coniazione e che come sempre accade in questi casi sfuggì ad ogni possibilità di controllo. La percentuale d'argento delle monete subì una diminuzione contemporanea ad un aumento del contenuto di rame, questo ultimo divenuto così conveniente che se ne coniavano soltanto gli spiccioli, il cui valore nominale superava quello del metallo stesso.

Asse di Augusto

C'erano due tipi di inflazione: nei primi secoli la moneta sovente perdeva valore nel momento in cui affluiva argento in eccesso; nella tarda età imperiale il fabbisgno di monete superava la quantita di argento affluito nelle casse dell'Impero. Ne risultò che per garantire la quantità di monete necessarie fu diminuita la percentuale di argento contenuto in esse, sopperendo con l'apporto di rame.

Il risultato fu che gli Stati confinanti non furono più disposti ad accettare il denaro Romano così impoverito del suo valore argenteo. In pagamento delle nuove esportazioni pretendevano oro e così ebbe inizio la grande emorragia dell'oro imperiale aureo, divenuto rarissimo all'interno e diffuso invece in Scandinavia, nella Russia Meridionale, persino in India, in Cina e in Africa; oro pretendevano anche i Sovrani barbarici per non assaltare i confini dell'impero, divenuto troppo debole per difendersi con le proprie armi.

Impero romano alla massima espansione sotto Traiano

 

Mentre l'aureo era scomparso dalla circolazione, il denario svilito circolava in quantità enormi, il suo valore diminuiva di continuo e salivano di altrettanto i prezzi. Sotto Alessandro Severo 222-235 dc, che pure sulle monete da lui coniate si fece celebrare quale Restitutor Monetae (Salvatore della moneta), il denario era composto per tre quarti di rame, in altre parole aveva perduto tre quarti del prorpio valore; pochi decenni più tardi il contenuto di argento era ridotto al 5%: era diventato in pratica una moneta di rame.
Nel 260 D.C. i cambiavalute si rifiutavano oramai di accettare la deprezzatissima moneta romana, e dovettero essere obbligati con la forza ad accettare le monete a corso legale; queste erano a tal punto prive di valore che lo stesso Stato le rifiutava, pretendendo che il pagamento delle imposte avvenisse in metallo prezioso. Questo era poi fuso in barre e serviva a coniare sempre nuovi denarii di scaeso valore. Vano si rivelò anche il tentativo, compiuto nel 301 da Diocleziano, di riprendere il controllo della situazione finanziaria fissando i prezzi massimi delle merci e la misura delle mercedi; vano come tutti gli altri provvedimenti del genere presi in seguito. Le navi romane servivano anche all'importazione di beni di lusso, che venivano pagati in oro e contribuivano ad allontanare da Roma la moneta "buona".

La stessa riforma valutaria di Costantino 306-337, intesa a sostituire l'aureo, ormai in pratica scomparso, con una nuova moneta d'oro, il Solido, non valse a scongiurare la catastrofe: la nuova moneta prese in quantità sempre maggiori la via dell'estero. In Germania era tanto apprezzata, da indurre una modificazione delle antiche leggi tribali: le ammende non si pagavano più in bestiame bensì nella moneta d'oro romana.
Nell'ambito dell'Impero con l'unica moneta circolante, il follis di rame si poteva acquistare ben poco e quindi riapparve il baratto; quanto all'oro residuo veniva tesaurizzato dalle classi dominanti.

La rovina dell'economia stava per toccare il culmine, e l'inflazione rese più grave la già precaria situazione romana; la situazione monetaria nell'impero romano d'Occidente costituiva uno dei sintomi di una crisi generale politica e morale.